Hacksaw Ridge, la battaglia dei corpi e delle anime

La passione di Mel Gibson durava da più di un decennio, poi il nuovo film. Pazzo sadico visionario malato di voyeurismo, Mel, così ti definiscono. Proviamo ad andare oltre. Artefice – autoriale – di eroi dal tratto comune o discontinuo? Il professore accusato ingiustamente a cui si impedisce di educare il pupillo. Il condottiero scozzese che si accolla la questione dell’indipendenza nel Medioevo britannico. Il Cristo dilaniato dalle persecuzioni dei romani. Il giovane maya dello Yucatan precolombiano braccato dai guerrieri che volevano sacrificarlo. Ed ora, l’obiettore di coscienza impegnato a salvare corpi e anime ad Okinawa in piena Seconda Guerra Mondiale. Il Gibson regista inquadra soggetti – personaggi – vivificati da vulnus ricorrenti. Cercherò di darne una traccia arrivando a La battaglia di Hacksaw Ridge.

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CORPI E ANIME – Che abbiamo a che fare con un fondamentalista cristiano lo sanno anche i muri. La quintessenza del tema religioso è la salvezza dell’anima, ma Mel è interessato anche al corpo. Carne ed ossa sono il mezzo attraverso il quale passa l’espiazione, non importa che tu sia vittima o carnefice. Il professor McLeod ne L’uomo senza volto (1993) è un uomo deforme, il suo viso è stato offeso dall’incidente stradale nel quale ha provocato la morte di uno dei suoi alunni. Ma lo sfregio non è solamente la macchia indelebile che gli ricorda l’accaduto – il segno che identifica il mostro da relegare nel castello di periferia. William Wallace (Braveheart – Cuore impavido, 1995) viene brutalmente torturato con la dovizia del faccendiere di giustizia inglese, affinché confessi i propri peccati. Il corpo di William sente le ineluttabili angherie, direttamente trasmesse allo spettatore attraverso riprese oggettive o sapienti primi piani. Zampa di Giaguaro (Apocalypto, 2006) sfugge al martoriamento – al contrario di altri prigionieri, decapitati per placare l’ira degli dei – e arriva alla fine privo di energie, il suo corpo è spossato dalla lunga corsa. Desmond Doss, il nuovo eroe di Hacksaw Ridge, è illeso al pari di Zampa di Giaguaro ma il campo di battaglia è un trionfo esaltato di corpi smembrati e superstiti dagli arti recisi. Apologia di questo sistema è Gesù (La passione di Cristo, 2004), il soggetto perfetto, il semidio a cui far portare la croce sul Calvario dopo le laceranti fustigate. La persecuzione corporale interessa tutti i personaggi, dai protagonisti alle comparse, a prescindere dallo schieramento di appartenenza. Che facciano parte delle truppe del bene o del male, il professore sfregiato, il soldato di Okinawa, quello dei campi medievali inglesi, l’uomo decapitato per gli dei, non ultimo il figlio di Dio in persona devono subire un’alterazione traumatica nel proprio corpo, come ad espiare. Il cinema di Gibson è attraversato dal fulmine del senso di colpa, sta a noi decidere se si tratti di scheletri nell’armadio o di peccato originale.

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L’EROE MENTORE – Solitamente la cinematografia americana propone una netta cesura tra l’eroe (protagonista dell’avventura) e il mentore (il suo maestro di vita). In Mel Gibson le due figure archetipe, ad accezione di Zampa di Giaguaro, sembrano fondersi. Il professor McLeod è un insegnante ovvero il mentore per eccellenza: prova a risolvere i conflitti dell’allievo e i suoi allo stesso tempo. William Wallace educa gli scozzesi sul concetto di libertà, in un misto di retorica didattica e tecnica guerriera: è in prima linea a far vedere come si fa. Desmond Doss è infervorato dalla sua fede e non è una faccenda personale, come vorrebbe farci credere per bocca sua, ma una questione sociale: spiega le sue ragioni ai commilitoni, “converte” un intero plotone. Gesù Cristo – devo dirlo, che io sia perdonato – insegna all’uomo come vivere e si immola per la causa, per cui è l’eroe mentore per antonomasia.

L’EROE PERSEGUITATO – La conclusione più scontata da redigere. Non esiste eroe gibsoniano che non venga perseguitato ingiustamente. Il professor McLeod è accusato di pedofilia, Wallace vuole solo l’indipendenza del suo paese e per di più gli uccidono la moglie, Gesù Cristo viene crocefisso – la sua causa non ha bisogno di perorazioni –, Zampa di Giaguaro ha la sola colpa di essere vivo, Desmond Doss viene vessato per le sue idee religiose e perché non vuole imbracciare il fucile. Il modo più scafato per fare dell’eroe un vero beniamino del pubblico è quello di scaricargli addosso ingiustizie cosmiche e violente, affinché lo spettatore possa compiere insieme a lui il viaggio catartico funzionale al riequilibrio delle cose. La tecnica funziona sin dagli albori della scienza narrativa e Gibson lo sa bene. Tutti i personaggi sudano nell’arena per affermare la propria idea di mondo, ostinati e coriacei di fronte a spade, fruste, armi da fuoco e ingiurie morali.

L’ACCUSA DEL COLLEGA – I film girati da Mel Gibson sono molto popolari e creano dibattito. La passione di Cristo fu più o meno massacrato, accusato di pornografia per certe immagini esplicite. Franco Zeffirelli denunciò Gibson per i facili espedienti voyeuristici a cui avrebbe ricorso, tacciandoli di essere veicolo di facile successo. Gibson rispondeva di essere votato al realismo, che la vita di Gesù fosse stata quella e che sia ipocrita riconsegnarne un’immagine angelica. Io dico che hanno ragione tutti e due e nessuno. Mel Gibson è un regista figlio degni anni Ottanta, ama mostrare il colpo diretto, mettere la macchina da presa sul proiettile che spappola la materia grigia o sulla carne che salta sotto la frusta del centurione. Va preso per quello che è, analizzato secondo la citata teoria dei corpi e delle anime. Il Gesù di Nazareth (miniserie tv, 1977) di Zeffirelli proponeva un Cristo ariano di certo meno granguignolesco, dalla tunica immacolata – esonerata dall’ingiuria del sangue. Quella di Gibson è una poetica diversa, contraddistinta da un’estetica visionaria forte, studiata per rendere merito alla costruzione valoriale del suo personale eroe.

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LA BATTAGLIA DI HACKSAW RIDGE – Questo nuovo lavoro ha i tempi giusti e la tensione è distribuita e sempre alta, perlomeno nella seconda parte. La prima è volutamente melensa, il che sta bene dal punto di vista funzionale – spiega la formazione dell’eroe, interpretato da un buon Andrew Garfield – e attira i favori delle signorine più romantiche. Vi è un sergente (Vince Vaughn) più o meno ispirato a quello di Full Metal Jacket, ma non ha il suo stesso crudo senso dell’umorismo anzi ne è un pallido riflesso. Il cinefilo medio nella prima parte non può che annoiarsi ma nella seconda trova le sue soddisfazioni. Le scene di guerra sono davvero pirotecniche e ammetto di esserne stato suggestionato. Gibson riprende, come detto, quel voyeurismo violento degli anni Ottanta e lo riprogramma in modo virtuoso, con una teatralità molto efficace. Le scene sono argute e invito a goderne. Il rimando estetico più immediato è a Salvate il soldato Ryan ma i movimenti di macchina sono diversi.

LA CHICCA – Un capo giapponese sta per fare harakiri. Mel lo inquadra di profilo quasi in controluce, con una goccia di sudore che cala lentamente sulla guancia. Il tutto sotto l’egida di un rallenty generoso che tributa merito al coraggio. Se tale scena fosse stata montata, al netto di una variazione fotografica, nella sequenza finale di un action movie Ottanta nessuno si sarebbe lamentato.

IL GIBSON PENSIERO – Si dice che negli ultimi anni l’uomo Gibson abbia fatto cose discutibili, il che evoca facili connessioni tra il biografico e il cinematografico. Che sia vero o no, siamo in presenza di un autore dall’estetica riconoscibile. I suoi personaggi hanno una spinta comune, eroi programmati per un’unica e indissolubile missione, il cui compimento passa attraverso una mutazione della carne voluta dal contesto sociale col quale si scontrano. Il tutto è condito da una fede che li rende ciechi di fronte alla possibilità di scelta: nessuno si tira fuori dall’agone, William Wallace sputa l’intruglio offertogli dalla principessa francese perché deve rimanere lucido. Così il Desmond Doss di Hacksaw Ridge – ma anche quello messo a processo durante l’addestramento – rifiuta ogni mediazione col potere costituito in nome di un’illuminazione, un motore interiore a cui non finisce mai la benzina. Infine l’eroe diventa anche mentore illuminante, innestando negli altri personaggi il suo modus vivendi. L’obiettore di coscienza Desmond è un ulteriore pezzo del puzzle, però dotato – è questa la novità – di un’aura solare del tutto sconosciuta ai suoi predecessori. Che sia in atto una flebile evoluzione dell’autore? Lo scopriremo nel prossimo film. Sino ad allora sarà una questione di fede.

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Film evocati:

Gesù di Nazareth (Franco Zeffirelli, 1977)

Full Metal Jacket (Stanley Kubrick, 1987)

L’uomo senza volto (Mel Gibson, 1993)

Braveheart – Cuore impavido (Mel Gibson, 1995)

Salvate il soldato Ryan (Steven Spielberg, 1998)

La passione di Cristo (Mel Gibson, 2004)

Apocalypto (Mel Gibson, 2006)

La battaglia di Hacksaw Ridge (Mel Gibson, 2017)


4 risposte a "Hacksaw Ridge, la battaglia dei corpi e delle anime"

  1. Data l’esaustiva risposta al pezzo su Arrival, ci riprovo. Io ho amato molto Braveheart come film. Non ho le competenze tecniche per giudicare cosa va e cosa non va. Da semplice spettatore provo a dire la mia: in Braveheart, vado a memoria, non ricordo una spasmodica ossessione per la religione, e per la religione cattolica nello specifico. E’ vero che la lotta per la libertà e l’indipendenza viene presa come un atto di fede, il quale però rimane “chiuso” all’interno del linguaggio metaforico, del lasciato intendere, mentre nella Passione e nella Battaglia di Hacksaw Ridge la fede cattolica è mostrata in maniera evidente, per certi versi ti viene sbattuta in faccia. E se nel primo film non può che essere così, nel secondo il particolare viene forse un po’ esasperato. Insomma, credo sia più opportuno staccare Braveheart dalla narrazione Gibsoniana successiva. Forse quel film apparteneva ad una narrazione più classica: l’amore per la libertà, gli eroi che lottano per l’indipendenza del proprio popolo o per valori “alti” come appunto quello della libertà sono spesso personaggi amati dal pubblico mainstream, una sorta di “quello che vorremmo essere, ma non siamo”. Insomma narrava un topos della letteratura e della cinematografia, senza porsi e senza porci sotto la mannaia del giudizio cattolico. Anche la scena della tortura finale che chiude Braveheart è lasciata intendere dalle grida di dolore e dalle espressioni facciali del protagonista, l’ascia si avvicina fino al collo, ma poi vedo il fazzoletto cadere, non la testa di William Wallace. In Passione di Gesù Cristo, in Apocalypto e nella Battaglia di Hacksaw Ridge la violenza, invece, ti viene spiattellata in faccia, senza alcuna cesura, senza alcuna metafora. Ad un certo punto si vedono fegati spappolati e teste mozzate e tutti gli organi di cui siamo fatti, che nemmeno una gastroscopia. Non condanno, per carità, il realismo di Gibson, credo che però in Braveheart fosse decisamente meno accentuato.

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  2. A questo tuo commento non ho molto da aggiungere Alex, disamina perfetta. La religione in Gibson è un filo conduttore, a volte latente, a volte manifesto. William Wallace non sembra manifestare grosse devozioni celestiali, è più che altro un “devoto alla causa”, pessima frase ma quantomeno puntuale. In Braveheart forte è il tema del “credere” in qualcosa, in tal caso non un dio ma alla libertà personale e collettiva. Diciamo che dove c’è del credere c’è in qualche modo una forma di religione, per quanto laica. Faccio io un commento al tuo pezzo, o per meglio dire mi sembra di leggere tra le righe che apprezzi il Gibson meno violento, sebbene “violento” lo sia in tutti i film. Ecco, sarebbe interessante trattare il tema della violenza nel cinema, evocarne le diverse concezioni che i vari autori ne hanno, da quella più realista a quella più caricaturale. Il Cinetecario dovrà occuparsene.

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  3. Non vedo l’ora. Per la parte caricaturale credo sia imprescindibile “L’allenatore nel pallone” e la celebre frase su Picchio De Sisti 😀 😀

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